Mostra Grado

Il Patriarcato di Grado tra Aquileia e Venezia

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Città di Grado

Inaugurazione 30 maggio ore 17.00 Basilica di Santa Eufemia. Campo Patriarca Elia. Seguirà rinfresco

Elia e gli altri patriarchi gradesi

Di fronte all’avanzata longobarda, il presule aquileiese Paolo (o Paolino I) elesse a rifugio temporaneo Grado e vi riparò con omnem suae thesaurum ecclesiae (reliquie), ma la decisione di ripiegare sull’isola non fu ab origine il preludio all’abbandono definitivo della sede eponima: lo conferma indirettamente il fatto che il succedutogli patriarca Probino, pur normalmente ricordato per aver operato al perfezionamento della “nuova sede”, in realtà morì non a Grado ma ad Aquileia.
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L’autorevole patriarca Elia e il di lui successore Severo parvero prediligere proprio il più recente insediamento insulare arricchito della nova basilica di Sant’Eufemia (sorta su una preesistente forse avviata dal vescovo aquileiese Niceta riparato sull’isola dopo la calata attilana), ove nel 579 si tenne il concilio cui presenziarono i rappresentanti della trentina di diocesi allora in comunione con Aquileia. Il più noto e autorevole dei patriarchi portatisi pro tempore a Grado fu innegabilmente il presul Helias, di supposte origini greche, ricordato su mosaici pavimentali e capitelli dal tipico monogramma e dall’appellativo episcopus Sanctae Aquileiensis Ecclesiae. La dedica alla santa martire calcedoniana, è di per sé significativo riferimento all’opzione tricapitolina e all’“aquileiesità” dello stesso Elia e dei patriarchi successivi, incluso Severo malgrado la forzata sottomissione all’ortodossia romana estortagli a Ravenna dall’esarca Smaragdo, non a caso abbandonata dopo il rientro in sede.
Fino all’inizio del VII sec. mai il “primato” dell’antica capitale della Venetia et Histria fu in discussione: più semplicemente, Grado funse da seconda sede dei patriarchi aquileiesi ben prima che le residenze finissero per moltiplicarsi ancor più ampiamente dando origine anche nell’ambito patriarchino all’itineranza propria nel mondo feudale dei sovrani e pressoché d’ogni senior d’alto rango.
Nel 606, però, su pressione dall’esarcato bizantino a Grado fu eletto Candidiano, primo presule decisamente filoromano: a quel punto, gli oltranzisti tricapitolini si affidarono all’abate Giovanni, consacrato a Cividale per reinsediarsi da episcopus titolare nell’“Aquileia vecchia” (così ridefinita da Paolo Diacono, in contrasto con il nome di Nova Aquilegia attribuito a Grado forse da Elia se non già da Paolo e certo poi da Venezia pro domo sua) con l’assenso dei Longobardi; Giovanni che presto fu definito summus patriarcha allorché inviò a Como il missionario aquileiese Agrippino per sostenere la chiesa locale decisa a staccarsi da Milano per diventar suffraganea
di Aquileia pur di restar fedele allo scisma dei Tre Capitoli. In laguna a Candidiano subentrò Epifanio, mentre in terraferma il posto di Giovanni fu preso da un successore sul cui nome le fonti discordano pur propendendo per l’istriano Marciano: in ogni caso, si diede così continuità alla doppia serie dei patriarchi “di Aquileia” ch’ebbe per inevitabili conseguenze lo “sdoppiamento” della cathedra (resosi indispensabile) e la “moltiplicazione” delle residenze. Queste ultime, sempre più numerose sul continente, lo furono meno fra le acque, ove a Grado seguì abbastanza presto Venezia.
Il patriarca d’Aquileia ormai gradensis Candidiano fu seguito da Cipriano, Primogenio, Massimo, Stefano e molti altri, fino al momento in cui il soglio gradese divenne prevalentemente prerogativa del patriziato veneziano, nel corso del IX sec. (Venerio, Vittore, Vitale I ecc.). Dopo Giovanni Gradenigo la sede principale passò definitivamente nella città marciana (1129) ed Enrico Dandolo fu il primo patriarca di Grado residente in Venezia, seguito da molti altri fino a Domenico Michiel: nel 1451 il titolo gradese fu definitivamente “soppiantato” e Lorenzo Giustiniani – poi santo – fu il primo patriarca di Venezia, trecent’anni prima che la bolla Iniuncta nobis sopprimesse il patriarcato d’Aquileia creando le arcidiocesi di Gorizia e Udine (1751/53). D’allora in poi la lunga storia del titolus aquileiese proseguì nei tre “eredi”: l’arcivescovo di Gorizia, quello di Udine e il patriarca di Venezia, ma solo quest’ultimo poté fregiarsi del rango (presto poco più che onorifico) patriarcale, ultima propaggine della plurisecolare storia degli episcopi succedutisi sul soglio d’Ermacora.
Ribaltando l’ottica consueta, taluni storici valutarono i patriarchi “gradesi” giunti a Venezia i soli discendenti diretti e la corretta serie degli antistiti aquileiesi non quella rientrata, inizialmente ridefinibile “forogiuliese” e poi detta “aquileiese” tout court, ma quella rimasta sull’isola e poi spostata a ovest: se contassero solo le apparenze si potrebbe concordare, ma ben di rado gli avvenimenti della Storia si sviluppano lungo percorsi rettilinei e – anche qualora ciò sembri accadere – quell’esteriore lineare consequenzialità storiografica non fa che camuffare l’effettiva complessità degli eventi reali. Circa la diversa tradizione gradese rispetto a quella aquileiese sulle cause del “divorzio” e la propria giustezza, è ormai provata l’ampia interpolazione operata ad hoc sugli atti del concilio del 579, rafforzata dalla produzione d’un falso decreto con cui il pontefice Pelagio II avrebbe legittimato l’attribuzione della dignità metropolitica a Grado: la presunta giustificazione della “traslazione” della sede a Grado fu in realtà un’iniziativa papale di ammonimento e di richiamo all’unità con Roma, rimasta chiaramente inascoltata.
Gabriele Caiazza

Con il contributo di